Perché in Italia le culle restano vuote? Le diagnosi e le nuove tecniche possono fare la differenza.

L’Istat, lo scorso mese di marzo, ha certificato il nuovo minimo storico di nascite in Italia: nel corso del 2016 siamo scesi a 474mila battendo il record negativo del 2015, quando le nuove vite erano state 486mila. Tra le cause della “crescita zero” c’è l’infertilità, che è in costante aumento. «Sono tra 100 e 150 mila le nuove coppie con problemi di procreazione », dice il professor Ermanno Greco, direttore scientifico del Centro di Medicina della Riproduzione dell’European Hospital di Roma. Un problema non solo medico, ma anche con ripercussioni sociali. Oggi si assiste a una sottovalutazione delle condizioni che minano la salute riproduttiva della coppia: «Per quanto riguarda la donna si posticipa il periodo nel quale si pianifica una gravidanza oltre i 35 anni, perché si cerca una migliore posizione lavorativa che arriva con anni di sacrifici e si ritarda anche il momento nel quale la coppia decide di fare un figlio perché impegnata nella ricerca di una difficile stabilità economica», prosegue il professor Greco. L’età della donna è importante, perché possiede dalla nascita un certo numero di ovociti che non sono sani indipendentemente dal patrimonio genetico. A 25 anni questa quota è del 25 per cento sul totale, il normale processo di invecchiamento porta a una riduzione significativa di questa percentuale. Per questo motivo una donna che decide una gravidanza intorno ai 36 anni dovrebbe programmare anche degli accertamenti per vedere la situazione ovarica con la conta del numero di ovociti che possiede. Si può fare con una semplice ecografia per la conta dei follicoli antrali e del dosaggio dell’ormone antimulleriano». E per quanto riguarda l’uomo? «Per l’infertilità maschile i problemi arrivano da fattori ambientali come l’inquinamento atmosferico e il riscaldamento globale, che possono alterare la qualità del liquido seminale», racconta il professore. Inoltre manca uno screening a livello nazionale come era quello previsto dalla visita di leva a 17 anni e perciò «si ritarda la diagnosi di diverse patolog